La pesca delle costardelle, particolare tipologia di pesce appartenente alla famiglia delle Scomberesocidae appartiene ad una delle tradizioni storiche calabresi. La costardella è un esemplare presente soprattutto nello Stretto di Messina, nelle acque del mar Mediterraneo e nelle coste Atlantiche con caratteristiche simili all’aguglia, che si muove in branco e può raggiungere le dimensioni di 40 cm.
La tradizionale e tipica pesca delle costardelle nello Stretto, ha assunto nei secoli le caratteristiche di un vero e proprio rituale che come narrano i nonni calabresi iniziava alle prime luci dell’alba e proseguiva fino al tramonto.
La pesca delle costardelle dall’alba al tramonto
Lo strumento tipico per la cattura delle costardelle, conosciuto con il nome di raustina, è composto da un particolare tipo di rete a strascico che veniva ‘calata’ da un grande barcone. Questa tipologia di rete era a maglie fitte presentava dimensioni che oggi non sono più permesse e proprio per questo motivo le costardelle che oggi troviamo al banco hanno dimensioni più grandi rispetto a quelle dell’ultimo decennio.
Nell’antica tradizione calabrese, la pesca delle costardelle avveniva secondo un determinante iter: era necessario individuare la ‘testa del branco’, e fare in modo che la rotta dei pesci venisse chiusa all’interno della rete. Per facilitare l’operazione i pescatori lanciavano solitamente dei piccoli sassi verso l’apertura del cerchio di rete. Il ‘barcone’ e il ‘barchittu, due imbarcazioni, sorreggevano le estremità della rete.
Durante la sessione di pesca, i pescatori dalla poppa dell’imbarcazione più grande rimestavano l’acqua con il ‘camaciu‘ e una lunga fiocina: questa operazione serviva a far confluire tutto il pescato all’interno della rete. Completa l’operazione, si spegneva il motore del barcone e si issava la raustina.
Le costardelle venivano raccolte col ‘coppu’ in un’apposita vasca di plastica. La raustina veniva immersa nuovamente in acqua per un’altra e i pescatori proseguivano fino a tramonto.